War Childhood Museum di Sarajevo

logoLa limpidità del logo, due bambini con in mano un palloncino a forma di bomba a mano, ci colloca subito in un immaginario diverso dai musei di guerra a cui siamo abituati in Italia, istituti pieni di divise e armi.

Ma Sarajevo è un luogo particolare, dove la memoria della guerra è molto fresca, e questa iniziativa è stata costruita proprio da coloro che erano bambini in quel periodo, sono sopravvissuti a tutte le avversità e ancora adesso ne portano le conseguenze.

In realtà non si tratta ancora di un museo, perché nessuna istituzione si è ancora impegnata ballet-1994a trovargli uno spazio, anche se sono stati numerosi i donatori e i collegamenti con altre istituzioni in giro per il mondo. Il War Childhood Museum sarà una mostra a dicembre, è stato prima di tutto un libro e soprattutto è attualmente un’iniziativa di coinvolgimento degli ex-bambini per raccontare la loro esperienza della guerra, attraverso la donazione di un loro oggetto che hanno conservato fino ad ora: cose semplici e quotidiane che, accompagnate dalla storia personale raccontata dai proprietari, diventano paradigmatiche di un’infanzia sotto le bombe. Scarpe da ballo, giocattoli e libri che non accompagnano necessariamente storie di dolore ma anche di gioia, orgoglio, nostalgia e passione.

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http://www.bbc.com/news/blogs-news-from-elsewhere-36321736

I donatori non si limitano alla consegna dell’oggetto e alla registrazione filmate del proprio racconto, ma vengono coinvolti nel progetto che, tra le altre intenzioni, vuole aprirsi ai bambini sopravvissuti ad altre guerre.

monopolyÈ un progetto potente e ambizioso (vd.), dove l’esposizione rappresenta solo il terminale di un processo lungo e condiviso, ma che si propone come un significativo esempio di quello che dovrebbe essere il ruolo di un museo di storia contemporanea. Non una raccolta di cimeli bellici o la narrazione del vincitore, ma un luogo della condivisione dell’elaborazione della memoria e dell’evocazione dell’orrore della guerra.

Basti pensare che l’intenzione di costruire delle attività specifiche per le scuole si dovrà confrontare con una società dove le tre “etnie” che hanno combattutto sono ora rigidamente divise, ognuna con la propria versione della realtà. Una didattica per i bambini non per servirà perciò a “insegnare” qualcosa ma viceversa ad aiutare a non accogliere passivamente la retorica della guerra, dei suoi vincitori e dei suoi vinti. A riflettere su cosa vuol dire subire una guerra.

Grazie a MariaGrazia per la segnalazione.

Un commento

  1. Grazie ad Andrea per aver così ben letto e interpretato questo progetto, che davvero merita una riflessione ampia sul significato dei musei che restituiscono tempi di guerra. Anche per i bambini che sono costretti a trascorrere l’infanzia in quelle guerre sciagurate e a portarne segni incancellabili. Anche questo, purtroppo, è ‘museo bambino’!

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